di Marco Galaverna

 

Sigla ben nota ai geometri e agli ingegneri civili, la V.I.A. è la Valutazione di Impatto Ambientale, che si è inserita nel settore delle costruzioni ferroviarie negli ultimi decenni del Novecento.

Un processo ampio e articolato come la realizzazione della rete ferroviaria italiana ad alta velocità contiene numerosi eventi storicamente rilevanti, che possono diventare lo spunto per un anniversario: inaugurazioni, progetti, aperture di cantieri.

In questo mese di giugno 2020, si ricorda l’avvio dei lavori per la Direttissima Firenze – Roma, che ebbe luogo esattamente cinquant’anni fa, nel giugno 1970, con una cerimonia presso il sito in cui sarebbe sorto il viadotto Paglia, divenuto poifamoso per la notevole lunghezza, 5400 metri, la quale conferì all’opera una visibilità internazionale [1].

L’avanzamento dei lavori fu poi penalizzato dalla discontinuità dei finanziamenti e da incertezze politiche. Il tratto Settebagni – Città della Pieve, che permise l’esercizio ad alta velocità fra Roma e Chiusi, grazie alle interconnessioni con le linee ottocentesche, fu attivato nel 1977. L’altra metà del tracciato richiese tempi di esecuzione più lunghi e l’attivazione completa della nuova linea tra Firenze e Roma avvenne soltanto nel 1992.

Almeno all’inizio, la realizzazione della Direttissima fu vista come un intervento a sé, in quanto la concezione di una rete veloce nazionale maturò qualche anno dopo. Tuttavia, la Firenze – Roma rappresentò un punto di partenza e un modello importante per le ferrovie progettate successivamente, fra gli anni Novanta e il Duemila, e aperte fra il 2005 e il 2009.

Qui interessa rimarcare che il secondo tratto della Firenze – Roma fu la prima importante costruzione ferroviaria italiana a cui si applicò una normativa sull’impatto ambientale. In Italia, le istanze di tutela ambientale ricevettero la propria ufficialità, per la prima volta, con la nascita del Ministero dell’Ambiente, avvenuta nel 1986. Successivamente, le norme per la redazione degli Studi d’Impatto Ambientale (S.I.A.) furono definite col Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (D.P.C.M.) 10.8.1988, che elenca le categorie di opere i cui progetti debbono essere sottoposti a V.I.A., e col successivo D.P.C.M. 27.12.1988, che definisce le norme tecniche per la redazione degli studi d’impatto e la formulazione del giudizio di compatibilità.

Questa normativa accomunava strade e ferrovie nella categoria “infrastrutture lineari di trasporto” e previde che il loro progetto fosse corredato di un S.I.A. articolato in tre “quadri”: programmatico, progettuale, ambientale. Il quadro ambientale deve descrivere gli effetti che la costruzione e l’esercizio di un’infrastruttura possono causare in merito a variazione del regime delle acque superficiali, concentrazioni degli inquinanti atmosferici, livelli di rumore e di vibrazioni, modifiche geomorfologiche, sottrazione di territorio, impatto visivo sul paesaggio, inquinamento idrico.

I caratteristici portali “a bocca di flauto” delle gallerie tra Firenze e Chiusi (in figura) derivano appunto dalla volontà di rendere minima l’intrusione anche visiva di un’opera civile nel paesaggio.

Nel tradurre in leggi la sensibilità verso la tutela dell’ambiente, l’Italia fu preceduta dalla Francia, che affrontò il problema dell’inserimento, in un paesaggio per lo più di campagna, di un’infrastruttura importante come la nuova rete ferroviaria concepita per i convogli TGV. La legislazione francese recepì la necessità di tutelare la natura nella pianificazione territoriale già con la legge del 10.7.1976, cui seguì il decreto applicativo del 12.10.1977, con le norme per lo “Studio di impatto”. Queste, applicate ai progetti autostradali fin dal 1978, entrarono nella progettazione della linea TGV – Atlantique, iniziata nel 1985, e in quelle successive [2].

Nella definizione dei tracciati, si cercò di ridurre al minimo il taglio dei boschi, l’esproprio di terreni agricoli, le interruzioni dei percorsi naturali delle acque piovane e di quelli abituali di mammiferi e anfibi, onde evitare l’isolamento di alcune specie animali e la concentrazione dei predatori. Fu prevista la costruzione di cunicoli, sotto la sede ferroviaria, per garantire la continuità dei tracciati seguiti dagli animali terrestri nei loro usuali spostamenti e le aree di cantiere furono risistemate a verde.

Purtroppo, in lingua italiana è difficile reperire trattazioni esaurienti, di taglio scientifico, sull’impatto ambientale delle ferrovie; in lingua inglese resta fondamentale il testo [3], citato anche, insieme con altri riferimenti bibliografici meno specifici, nel libro [4].

 

[1] S. Maggi, “Le ferrovie”, 3a ed. pag. 184, Il Mulino, 2012.

[2] B. Martin, “Grande Vitesse con la V.I.A.”, Rivista VIA anno 3, n. 11/1989, pagg. 51 – 60

[3] T. G. Carpenter, “The environmental impact of railways”, Wiley, 1994

[4] G. Sciutto, M. Galaverna, “Tecnologie dei trasporti e territorio”, Sciro Edizioni, 2000
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Marco Galaverna

Nato a Genova nel 1963, si è laureato in Ingegneria Elettronica presso l’Università degli Studi di Genova e presso il medesimo ateneo ha conseguito il Dottorato in Ingegneria Elettrotecnica. Dal 1989 fornisce supporto presso la stessa Università alle attività didattiche per diversi corsi attinenti all’Ingegneria dei Trasporti. Socio dal 1990 del Collegio Ingegneri Ferroviari Italiani (C.I.F.I.) è stato Delegato della Sezione di Genova di tale Collegio dal 1998 al 2006. È autore di oltre 100 pubblicazioni scientifiche nel campo dell’Ingegneria dei Trasporti e del libro “Tecnologie dei trasporti e territorio” insieme al Prof. Giuseppe Sciutto. Dal 1992 è docente di Elettronica e materie affini presso l’Istituto d’Istruzione Secondaria Superiore Einaudi-Casaregis-Galilei di Genova.