di Marco Galaverna

 

Oggi gli effetti della corrente elettrica nel corpo umano sono ben noti e la sicurezza elettrica è una materia consolidata. I progettisti possono riferirsi alle “curve di pericolosità tempo – corrente” recepite dalle norme CEI (Fascicolo 1335 P del 1990) e altre norme fissano i valori massimi ammessi per le tensioni di contatto dirette e indirette nonché per i tempi d’intervento degli interruttori di protezione. Ma alla fine dell’Ottocento, le certezze in materia erano assai minori.

Nel 1897 il Governo italiano diede a una commissione di ingegneri l’incarico di studiare la possibilità di introdurre la trazione elettrica nelle ferrovie del nostro Paese. La commissione espose i propri risultati in un documento, noto come Relazione Nicoli – Grismayer, stampato nel 1899. Fra i vari aspetti esaminati, v’era quello dei rischi di folgorazione. Infatti, nella scelta della tensione di alimentazione delle future locomotive elettriche, si riteneva di dover considerare anche l’incolumità dei viaggiatori e del personale.

La Relazione (che leggiamo, in estratto, nel libro [1]) dichiara che “non si conosce ancora con precisione quale sia il potenziale di una corrente, continua o alternata, veramente pericoloso, cioè capace di produrre un danno permanente ovvero che riesca letale se attraversa il corpo umano”. Più avanti si legge che, per le tranvie (le quali avevano già sperimentato la trazione elettrica pochi anni prima), si era scelta l’alimentazione in corrente continua a 600 V in quanto tale valore sembrava non essere pericoloso. Questa asserzione a noi appare quanto meno azzardata, giacché attualmente la soglia di pericolosità per il contatto con una tensione continua è fissata a 120 V.

È però interessante notare che già all’epoca si stimava la corrente alternata (c.a.) più pericolosa della continua (c.c.) e si conoscevano “disgrazie con potenziali alternativi inferiori a 300 V” [1]. Peraltro, la cosa non impedì agli Svizzeri di elettrificare le tranvie di Lugano nel 1895, con la c.a. trifase a 500 V, audacia premiata dalla buona sorte poiché non si ebbe a registrare alcun incidente.

La digressione che la Relazione Nicoli – Grismayer rivolgeva alla necessità di divulgare al pubblico la pericolosità delle tensioni superiori ai 500 V induce a pensare che, all’epoca, l’opinione popolare tendesse a sottovalutare i rischi dell’elettricità. Addirittura, per monito generale, gli Autori auspicavano di compiere esperimenti dimostrativi, per osservare gli effetti delle correnti di varia intensità sugli animali; e allo scopo, si suggerivano cani di grossa taglia (nell’Ottocento gli animalisti non avevano voce in capitolo).

Sorprendente è poi l’esperimento, riportato dalla Relazione, che il fisico W. E. Weber [2] aveva compiuto su di sé per studiare gli effetti fisiologici delle correnti: “1 – Prendendo con ambe le mani bagnate due conduttori, tra i quali esiste una differenza di potenziale di 50 V alternativi, si produce una rapida paralizzazione dei muscoli delle mani che impedisce l’abbandono dei conduttori. 2 – Lo stesso fenomeno si produce soltanto a una tensione di 100 V se le mani sono asciutte. 3 – Se una persona coi piedi in contatto col suolo stringe con forza un solo conduttore a potenziale di 1300 V alternativi, la mano è temporaneamente paralizzata e il filo non può essere abbandonato.”. L’esperienza (che sconsigliamo ai nostri lettori) non venne però considerata determinante perché le condizioni delle prove erano diverse da quelle in cui si sarebbero potuti verificare contatti accidentali fra gli impianti ferroviari e le persone.

A questo punto, l’incertezza sui rischi di folgorazione avrebbe potuto ostacolare il progresso delle elettrificazioni ferroviarie, almeno in Italia. Ma, fortunatamente, i nostri Autori citarono uno studio col quale il prof. G. Kapp [3] rispondeva alla Casa Brown (progettista di ferrovie elettriche in Svizzera) in merito ai pericoli della corrente. Il prof. Kapp rovesciava l’impostazione del problema e asseriva che la sicurezza non andava raggiunta abbassando i livelli della tensione elettrica ma con un’opportuna disposizione degli impianti. L’impianto sarebbe stato sicuro sospendendo i conduttori aerei a una sufficiente altezza dal binario, rendendo così pressoché impossibile il contatto accidentale, anche nei passaggi a livello, e inserendo apparecchi atti a togliere l’alimentazione del circuito in caso di rottura e caduta dei fili o di necessità del personale. Lo studio del prof. Kapp anticipava, 120 anni fa, i concetti di protezione per distanziamento e di sezionamento delle linee, che sono ancora presenti nella normativa odierna di settore (CENELEC e CEI) e apriva la strada alla grande storia della trazione elettrica in Italia.

 

 

[1] M. Loria, “Storia della trazione elettrica in Italia”, Giunti, Firenze1971.

[2] Weber, Wilhelm Eduard (Wittenberg 1804 – Gottinga 1891); il cognome di questo scienziato ha ispirato l’unità di misura del flusso magnetico nel sistema SI, il weber.

[3] Kapp, Gisbert (Mauer 1852 – UK 1922); gli studenti di Elettrotecnica ricorderanno il “Fattore di Kapp” e il “Diagramma di Kapp” nello studio delle macchine a corrente alternata.
******************************************
Marco Galaverna

Nato a Genova nel 1963, si è laureato in Ingegneria Elettronica presso l’Università degli Studi di Genova e presso il medesimo ateneo ha conseguito il Dottorato in Ingegneria Elettrotecnica. Dal 1989 fornisce supporto presso la stessa Università alle attività didattiche per diversi corsi attinenti all’Ingegneria dei Trasporti. Socio dal 1990 del Collegio Ingegneri Ferroviari Italiani (C.I.F.I.) è stato Delegato della Sezione di Genova di tale Collegio dal 1998 al 2006. È autore di oltre 100 pubblicazioni scientifiche nel campo dell’Ingegneria dei Trasporti e del libro “Tecnologie dei trasporti e territorio” insieme al Prof. Giuseppe Sciutto. Dal 1992 è docente di Elettronica e materie affini presso l’Istituto d’Istruzione Secondaria Superiore Einaudi-Casaregis-Galilei di Genova.