DI MARCO GALAVERNA
La tutela dei beni storici, artistici e culturali è ormai diffusamente condivisa nel nostro Paese e sostenuta da iniziative sia pubbliche sia private. Ma, fino a cent’anni fa o meno, gli ostacoli che eventualmente si frapponevano ai progetti di ammodernamento del territorio, finalizzati allo sviluppo economico e sociale, potevano essere eliminati con pochi scrupoli; così quartieri della città di Genova furono abbattuti a favore, si disse, del progresso. Qui ricordiamo, di contro, un caso di scampata demolizione.
Un amico estimatore di libri rari mi ha prestato il volume “Il palazzo di San Giorgio in Genova – Demolizione o Conservazione” [1]. È incredibile ma quello che oggi è uno dei simboli della città ha rischiato di essere tranciato per poter allargare una strada, l’attuale via Frate Oliverio, che nell’Ottocento si chiamava via del Commercio e separa il lato monte di Palazzo San Giorgio dai portici di Sottoripa. Per decidere la sorte dello storico edificio, iniziato nel 1260 e ampliato nei secoli XV – XVI, fu formata una commissione, cui presero parte anche Giosuè Carducci e Camillo Boito, oggi ricordati più come scrittori, per valutare la situazione.
Una legge del 17/7/1861 autorizzava una spesa di 500.000 lire per aprire una nuova strada tra piazza Caricamento e il Molo Vecchio, con la demolizione dell’avancorpo di Palazzo San Giorgio. Le alternative, consistenti nell’apertura di un’ampia strada a mare o nell’abbattimento dei portici di Sottoripa, erano considerate onerose, anche per i necessari espropri di aree private.
Contro la legge dell’allora giovanissimo Regno d’Italia, costituito appena cinque mesi prima, nel 1888 il Ministero dell’Istruzione Pubblica pose un veto a tutela dell’antica costruzione. Da qui derivò la contesa e fu avviata un’indagine sull’effettivo traffico gravante sulla stretta “via del Commercio”, che risultò raggiungere i 1634 carri stradali al giorno.
I sostenitori della demolizione, forti della legge del 1861, proponevano di tagliare il palazzo, facendone arretrare di 5,5 metri la facciata per allargare della stessa misura l’esistente strada. I contrari alla demolizione proponevano invece di demolire altri edifici, costruire una strada a mare e alleggerire il transito in “via del Commercio” spostando altrove gli uffici doganali e prolungando i binari, provenienti da Santa Limbania, fin sotto la tettoia del Deposito Franco, in modo da eliminare il trasbordo su carretti a mano fra il Deposito e lo scalo ferroviario di Caricamento.
Qui il prezioso libro interessa direttamente noi appassionati di storia delle ferrovie, perché con un’ampia tavola ripiegata riproduce, in nero, i binari esistenti nel 1888 nella zona di Caricamento e, in colore rosso, gli allungamenti proposti. Per non danneggiare, con scanner o fotocopiatrici, le delicate pagine, ho riprodotto a mano, a ricalco su foglio traslucido, la parte più interessante della mappa, qui acclusa, modificando soltanto la posizione delle scritte ove necessario.
Si può vedere che, all’epoca, il Molo Vecchio, che avrebbe assunto la forma attuale pochi anni dopo, non era ancora raggiunto dai binari, che non proseguivano oltre Caricamento. Per aiutare i lettori a orientarsi sulla mappa, chiariamo che oggi non esistono più gli edifici e i binari rappresentati ma il Ponte Embriaco e il Ponte Spinola si chiamano ancora così e l’area fra questi (Calata Porto Franco) è oggi il piazzale che si estende tra Palazzo San Giorgio, non visibile in figura, e i cancelli del “Porto Antico”.
Infine, prevalse il partito contrario alla demolizione, sicché Palazzo San Giorgio fu conservato nella sua integrità, e successivamente restaurato secondo criteri talora discussi; i relatori previdero peraltro l’evoluzione delle aree portuali genovesi, con meritevole lungimiranza. Infatti, l’ultimo tronco del Terrazzo di marmo e vari edifici circostanti furono demoliti per liberare lo spazio a monte delle calate.
La relazione si conclude con un’anticipazione di notevole interesse: gli autori ritennero che le strutture portuali allora esistenti avrebbero raggiunto la saturazione nel 1899 (non viene spiegato perché proprio in quell’anno) e sarebbe stato necessario realizzare un nuovo porto a Sampierdarena, collegato con Alessandria tramite una linea ferroviaria del tutto nuova.
In effetti, decenni più tardi si iniziò a costruire il bacino portuale di Sampierdarena, che avrebbe fatto capo a una prevista ferrovia, la “linea della Coronata”, i cui lavori furono appena iniziati e subito abbandonati.
[1] “Il palazzo di San Giorgio in Genova – Demolizione o Conservazione”, Relazione del deputato Francesco Genola, Firenze 1888.