di Elisabetta Spitaleri

TRAIN DE VIE (1998) diretto da Radu Mihaileanu
David di Donatello 1999 per Miglior Film Straniero

“Ridere è un altro modo di piangere” affermò il regista rumeno Radu Mihaileanu, la cui famiglia fu internata in un lager. E questo mix tra comico e tragico, sottolineato dalla musica dal geniale artista bosniaco Goran Bregovic, e una profonda conoscenza e narrazione della cultura ebraica ci accompagnano per tutto il film.

Questo gusto parodistico della commedia yiddish e sull’humor askenazita che fa convivere comicità, dramma e malinconia sono inoltre ben resi in italiano dall’adattamento dei dialoghi di Moni Ovadia.

Lo spunto della storia, parzialmente raccontata come un flash back delle vicende degli abitanti di uno “shetl” (villaggio ebraico) dell’Europa dell’Est nel 1941, nasce da una idea “folle” e chi meglio del pazzo del villaggio può proporla agli esterefatti concittadini? Shlomo infatti irrompe terrorizzato nel villaggio rumeno per avvertire che i nazisti stanno organizzando la deportazione di tutti gli ebrei dei paesi vicini. La sua proposta, alla fine accolta dal consiglio dei saggi, è quella di organizzare un falso treno di deportazione. Tutti gli abitanti interpreteranno i vari ruoli: nazisti, macchinisti, deportati. Sarà un treno “magico” come un bimbo spiega ai suoi diffidenti amichetti. E con questa magia potranno passare il confine e attraverso Russia e Ucraina arrivare fino in Palestina, a casa. Ma finzione e realtà creano confusione anche all’interno del gruppo, alcuni si immedesimano troppo nel loro ruolo come capita a Mordechai, falso ufficiale nazista che comincia a dare ordini sul serio, alcuni hanno una profonda crisi religiosa e nei vagoni si instaurano cellule marxiste-leniniste. Si Incontrano molti inconvenienti lungo il viaggio, a un certo punto vengono fermati da un altro treno, che però risulta pieno di zingari che avevano escogitato lo stesso stratagemma. Insieme passeranno il confine: sono tutti salvi! E come nella prima sequenza ecco ancora il primo piano di Schlomo che ci racconta dei destini di alcuni dei protagonisti, tutti viventi tra Russia, Palestina e America. È andata veramente così? Il treno, simbolo di vita e fuga per la libertà, lo vediamo allontanarsi in una pianura sconfinata inseguito da bombe e spari ma appena la nuova inquadratura di Shlomo si allarga, lo vediamo sorriderci da dietro un reticolo di filo spinato. La fiaba non ha avuto un lieto fine e il treno non ha raggiunto la destinazione sperata. Oppure era solo un sogno di un giovane pazzo visionario ed è reale solo l’orrore dell’Olocausto.