di Simone Farello

Jules Verne, e il pianeta che diventa “piccolo”

Il secolo XIX era alla fine una miniatura delle sue stesse distanze, ed improvvisamente il pianeta diventò piccolo. Quando Jules Verne scrive ‘Il giro del mondo in 80 giorni’ non deve più ricorrere alla sua particolare e primordiale idea di fantascienza: Phileas Fogg e il fido Passepartout non hanno bisogno del Nautilus o di addentrarsi sino al centro della terra per avere una scorciatoia con cui vincere la loro scommessa. Gli basta salire su un treno o su un piroscafo, e solcare continenti ed oceani cavalcando l’ingegno di tecnologie reali, a disposizione solo pagando il biglietto. Nella loro circumnavigazione i due audaci avventurieri ricorrono più volte alla ferrovia, nel suo tragitto che dissoda e traccia il tragitto dell’industrializzazione con la sua predisposizione per l’abbattimento dei confini, la sua vocazione a fare del globo la propria officina. Le ferrovie britanniche rendono ai due protagonisti un fondamentale servizio in patria e soprattutto in India, dove la Corona Inglese risplendeva su un Impero che si rifletteva nei cristalli dei vagoni quanto nei gioielli del Gran Moghul. La strada ferrata li conduce ovviamente attraverso le Americhe e, all’inizio della loro impresa, è il treno che li accompagna da Parigi a Torino e quindi a Brindisi, il confine di un’Europa ormai votata al carbone, all’acciaio, al locomotore e ad un viaggio che non è più esplorazione ma gioco.

 C’è qualcosa che non è mai programmabile: la fantasia dell’uomo

Se la fantascienza gloriosa degli anni ’50 e ’60 dovette aspettare la fine del ‘900 per vedersi smentita e superata da una realtà più adulta e claustrofobica delle ingenuità aliene previste e con tecnologie molto più sofisticate di qualunque robot pensato da Isaac Asimov; Verne superò da solo la sua immaginazione dimostrando che c’è un qualcosa che non è mai né programmabile né pronosticabile con certezza: la fantasia dell’uomo. Di Verne, solo l’entusiasmo progressista dovette alla fine risultare inverosimile e sfarinarsi sotto la luce corrosivo della realtà, quando un viaggiatore meno cerimonioso come Joseph Conrad svelò il lato oscuro del viaggiatore giocatore, ovvero la smorfia atroce del tracotante dominatore della tenebra, del colonizzatore.  

Ma sia che i limiti siano quelli della gara contro il tempo e lo spazio o quelli del potere sulle cose e sui popoli, l’alba del ‘900 rischiara geografie ristrette e velocissime, divorate dalle fuliggini dei transatlantici e da quelle dei locomotori. Andare lontano non era più un privilegio, la domanda era se sarebbe diventato noioso. Ma proprio mentre la dimensione concreta del viaggio si rimodellava intorno a quel pendolarismo scintillante che si cominciava a chiamare turismo; la letteratura deviava su altri binari, compilava orari alternativi, scagliava il raccontare oltre le sue Colonne d’Ercole. Con i suoi Manifesti il surrealismo suggellò un nuovo modo di raccontare, lasciando in eredità poche cose da leggere e moltissime cose ancora da scrivere.

I racconti di Julio Cortazar: un invito a partire

E’ il caso di Julio Cortazar, un meraviglioso autore, periodicamente oggetto di meritate quanto evanescenti riscoperte, che scrisse racconti provenienti da un altroquando in cui aveva accesso soltanto lui. I suoi racconti sono il dono di un etnografo dell’inventiva che non ci darà mai le coordinate dei suoi giacimenti, altrimenti smetterebbe di sorprenderci. Cortazar appartiene a quella categoria di autori che sono di per sé un viaggio: nato in Belgio, da genitori argentini, si mosse tra l’Europa e l’America Latina con il linguaggio ed il corpo e infine dimostrò che per recuperare la possibilità della lontananza sono sufficienti una penna, della carta ed una scrivania.

Il Giro del Mondo in 80 Mondi’, scritto nel 1967, pubblicato una prima volta in Italia da Alet nel 2006, torna nelle librerie grazie alle edizioni Sur senza aver perso nulla della sua capacità di ipnosi e straniamento. Non è né un romanzo né una raccolta di racconti, anche se contiene dei racconti: è una miscellanea di scritti, immagini, appunti; una scrivania piena di sorprese per i lettori. Proprio come il treno crea le città, la scrittura di Cortazar crea i mondo posandoci sopra il suo inchiostro. La scrittura di Cortazar è colorata, mai dolente, spesso conturbante, quasi sempre attraversata da una vena di inquietudine che costringe il lettore a guardarsi alle spalle, come se fosse stato avvertito di qualcosa di cui non si era accorto. Ed è, soprattutto, un invito a fare le valigie e a partire, senza sapere di preciso dove andare ma sapendo che c’è da qualche parte un mondo su 80 che potrebbe essere quello che stavamo cercando. Fogg e Passepartout vincono la loro scommessa sul filo di un fuso orario, a Cortazar non interessa vincere ma esclusivamente scommettere: un racconto dopo l’altro, come una puntata in fila ad un’altra o, come lui avrebbe preferito, come un round dopo l’altro. Verne raccontò una partita, Cortazar ci racconta un gioco in cui l’unica regola è leggere e stupirsi, senza aver mai paura, altrimenti puoi smarrire qualcosa di importante, come in quel gioiello per lettori che è ‘La stagione della mano’. Perché dopo aver letto gli 80 mondi di Cortazar penserete solo ad una cosa: all’ottantunesimo.

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Simone Farello, già assessore e consigliere comunale di Genova, scrittore e blogger (“Simone Farello simply a reader”) scrive per “Superba” una serie di recensioni incentrate proprio sul mondo dei treni.