di Marco Galaverna

 

Lo spunto per la nostra rubrica viene questo mese da un libro di recentissima pubblicazione, che, avuto in prestito, ho potuto leggere pochi giorni fa e raccomando vivamente all’attenzione degli appassionati. Si tratta di “Ferrovie abbandonate del Piemonte e della Liguria” [1], scritto da Diego Vaschetto.

Per ragioni storiche, già nell’Ottocento il Piemonte risultò la regione italiana con la più elevata densità di linee ferroviarie in rapporto al territorio; poi, dagli ultimi decenni del Novecento, questa ricchezza di infrastrutture, non sempre valorizzata, fu intaccata da sospensioni del servizio, chiusure e abbandoni di linee, attuati a più riprese e che culminarono una decina d’anni fa con la soppressione del traffico viaggiatori su una parte consistente della rete locale.

Con tante belle fotografie, soprattutto dell’autore, il libro di Vaschetto esamina in sequenza le tredici linee FS del Piemonte in cui il servizio viaggiatori è attualmente sospeso; su alcune è stato asportato pure il binario e il recupero è impensabile; altre sono tecnicamente ancora utilizzabili con lavori di ripristino di entità per lo più modesta; altre ancora sono in buono stato, grazie al prezioso intervento della Fondazione FS, e percorse da treni turistici. Di ogni linea viene ricordata la storia, sono descritti il tracciato e la situazione attuale.

La chiusura al traffico regolare di tutte queste linee deriva dalla successione di errori politici e gestionali, a fronte di una diffusa e dichiarata volontà di potenziare (più a parole che coi fatti) il trasporto su rotaia nel nostro Paese. Il primo errore è stato il trasferimento delle competenze sul trasporto locale dallo Stato alle Regioni, per lo più scarsamente preparate in tema di pianificazione dei trasporti. Ne è risultata una situazione eterogenea, con Regioni, come Lombardia e Toscana, a favore del treno e altre, come Piemonte e Campania, in cui si dichiarò pubblicamente di non voler sostenere più di tanto le spese del servizio ferroviario. Perciò, una finalità importante delle politiche nazionali, la continuità territoriale, ovvero l’equa accessibilità delle varie zone del Paese, è stata compromessa.

Ma, a onor del vero, una fetta di responsabilità spetta pure alle FS del passato, ostinate a strutturare l’orario dei treni viaggiatori su quelle linee secondarie senza tener conto della reale domanda di trasporto. I confini di molte linee non coincidevano con l’origine e la destinazione dei viaggi, cosa trascurata e che ha condotto alla disaffezione degli utenti. Le linee chiuse avrebbero potuto fornire collegamenti più brevi tra due o più città ma, aboliti da anni i comodi servizi diretti, esse non erano più utilizzate in tal senso.

Qualche esempio: sulla Chivasso – Asti, oggi chiusa, erano in orario soltanto regionali fra le due estremità della linea. Ma forse nessun viaggiatore è mai salito su un treno a Chivasso diretto ad Asti. Invece, sarebbero stati utili servizi diretti su Torino, per lavoratori e studenti; in più la linea nacque come prosecuzione della Genova – Acqui T. – Asti verso la Valle d’Aosta, con un percorso di 33 km in meno rispetto al giro più lungo via Torino, possibilità ignorata dall’offerta di servizi.

La Santhià – Arona, pure chiusa, era erroneamente gestita come linea locale, mentre faceva parte dell’itinerario più breve fra Torino, il Lago Maggiore, Domodossola e il Sempione. La Asti – Mortara, penalizzata negli ultimi anni di esercizio da un’offerta assai ridotta, avrebbe fornito il collegamento più veloce tra Asti, Casale M. e Milano, interessante per il pendolarismo sul capoluogo lombardo, con un accorciamento del percorso di addirittura 47 km rispetto all’itinerario via Alessandria. I servizi diretti, i più interessanti per gli utenti, furono sistematicamente cancellati grosso modo dagli anni Novanta e gli esempi potrebbero moltiplicarsi. Peraltro, con i treni ibridi oggi disponibili, l’assenza di elettrificazione su parti dei percorsi non è più un problema tecnico.

Per completezza, il libro di Vaschetto ricorda anche la ferrovia Fell del Moncenisio, dall’effimera esistenza, chiusa poco dopo l’apertura del traforo del Fréjus nel 1871.

La Liguria, infine, non ha avuto vere e proprie chiusure di linee ferroviarie, nel senso che intendiamo per il Piemonte, ma è trattata nel libro per le tratte costiere che, col raddoppiamento del binario su nuova sede, sono state abbandonate, sia lungo la Riviera di Ponente sia lungo quella di Levante. L’autore, con attenzione anche ai valori paesaggistici, fornisce altresì utili indicazioni agli escursionisti per raggiungere, ove ciò è possibile in condizioni di sicurezza, i vecchi tracciati.

  

[1] D. Vaschetto, “Ferrovie abbandonate del Piemonte e della Liguria”, Edizioni del Capricorno, Torino, 2022

 
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Marco Galaverna

Nato a Genova nel 1963, si è laureato in Ingegneria Elettronica presso l’Università degli Studi di Genova e presso il medesimo ateneo ha conseguito il Dottorato in Ingegneria Elettrotecnica. Dal 1989 fornisce supporto presso la stessa Università alle attività didattiche per diversi corsi attinenti all’Ingegneria dei Trasporti. Socio dal 1990 del Collegio Ingegneri Ferroviari Italiani (C.I.F.I.) è stato Delegato della Sezione di Genova di tale Collegio dal 1998 al 2006. È autore di oltre 100 pubblicazioni scientifiche nel campo dell’Ingegneria dei Trasporti e del libro “Tecnologie dei trasporti e territorio” insieme al Prof. Giuseppe Sciutto. Dal 1992 è docente di Elettronica e materie affini presso l’Istituto d’Istruzione Secondaria Superiore Einaudi-Casaregis-Galilei di Genova.