di Simone Farello

La letteratura, a partire dalla seconda metà del ‘900, si è spesso posta il tema della traduzione. Un romanzo, da certi punti di vista, è sempre una traduzione: prende la realtà e la trasforma in una storia; prende una cosa vista e vissuta e la trasforma in segno grafico. Ma quando un autore è costretto a scegliere in quale lingua scrivere l’atto della scrittura diventa esso stesso una metamorfosi dai tratti particolari, perché è sempre allo stesso tempo incompleta e compresente.

Joseph Konrad: dal polacco al francese, e poi all’inglese

Il primo esempio di questo affascinante dilemma è stato Joseph Konrad: nato polacco scrisse a lungo in francese, la lingua colta della sua nazione, per poi convertirsi definitivamente all’inglese. Un periplo che sembra la linea tracciata sulle ampie mappe di Konrad, narratore degli spazi oceanici dove il viaggiatore deve comprendere prima di tutto i propri limiti umani. Sino all’estremo dell’alterità, quel cuore di tenebra dove l’esplorazione incontra il potere, che rispetto all’alterità è la prosecuzione della cultura con altre forme.

Non è un caso se gli eredi di Konrad siano spesso scrittori segnati dall’esperienza coloniale: da Amitav Ghosh o Salman Rushdie che devono scegliere tra l’inglese e l’indiano; di Jhon Coetzee che vive la doppia esperienza di colonizzatore e colonizzato; di Agota Kristof che rinuncia alla lingua dell’oppressione, l’ungherese, per rivolgersi alla lingua dell’esilio, lo svizzero francese.

Amélie Nothomb: pensare in ideogrammi

Vi è poi una sempre più numerosa schiera di autori che affrontano la traduzione di una cultura che contiene la sua alterità nell’alfabeto: narratori occidentali che sono cresciuti o hanno deciso di vivere in oriente, in Giappone o in Cina, dove si pensa in ideogrammi. Tra questi Amélie Nothomb, un caso davvero singolare. È belga, tratto che non manca mai di far rimarcare alle sue protagoniste femminili, citando Poirot e mettendo subito l’accento sulla diversità di un popolo che scrive in francese ma pensa spesso in fiammingo. Ha vissuto a lungo tra Giappone e Cina e da questa esperienza ha tratto una scrittura composta apparentemente da dialoghi, che in realtà compongono sequenze di ideogrammi composti di parole: dei veri e propri ideogrammi in lingua.

Come però insegna il film Lost in Translation di Sofia Coppola, uno dei rari prodotti artistici che abbiano saputo rappresentare la fragilità del dialogo nella nostra epoca iper comunicativa, la traduzione non è mai completa. Per questo la lettura dei romanzi brevi, brevissimi, della Nothomb può risultare straniante: quello che si può scambiare per il virtuosismo e la compiacenza di una scrittrice presuntuosa è in realtà una faglia, un confine, un bordo. La Nothomb non scrive storie, le traccia. Lo si vede benissimo nella raccolta semi clandestina ‘Splendente come una padella’, dove quattro racconti brevissimi, quasi degli haiku in prosa, sono accompagnati dai disegni minuti di Kiki Krevecoeur.

“L’Olandese ferroviario”

Insieme grafica/fumetto e narrazione precipitano verso il centro delle pagine, riuscendo a trattenere chi legge queste storie così brevi in istanti dotati di una particolare lentezza.
Quattro ideogrammi, di cui l’ultimo L’esistenza di Dio suona letto oggi come la sinistra profezia di una spietata Cassandra; e di cui L’Olandese ferroviario rappresenta la chiave di lettura. Cosa è un viaggio in treno, se non la tentazione di conoscere, ascoltare e tradurre l’alterità del viaggiatore che abbiamo davanti a noi? Cosa è se non il desiderio di dire sé stessi allo sconosciuto che abbiamo di fronte? Lo sanno bene i due protagonisti del racconto: un insegnante della più morta delle lingue e uno strano olandese che non solo parla in tutte le lingue ma sa indovinare la lingua del suo interlocutore prima che apra bocca.

Spesso la narrativa filosofica di Amelie Nothomb sembra cinica, ma grazie a questi racconti potremo imparare che è in realtà uno sforzo di comprensione. Faticoso, ma profondamente umano: una traduzione in cui è bello perdersi.

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Simone Farello, già assessore e consigliere comunale di Genova, scrittore e blogger (“Simone Farello simply a reader”) scrive per “Superba” una serie di recensioni incentrate proprio sul mondo dei treni.