di Marco Galaverna

Negli ultimi decenni, ogni volta che si è ripresentata la questione del Terzo Valico dei Giovi, si è dato per scontato che la nuova linea ferroviaria si sarebbe aggiunta a quelle esistenti, senza sostituirle. Cinquant’anni fa, invece, gli indirizzi erano diversi e proponevano soluzioni che oggi parrebbero insostenibili.

Precisamente, nel 1966 veniva pubblicato un rapporto dei professori universitari Bianchedi e Stagni, e dell’ing. Bordone, commissionato da enti locali (Comune, Provincia, Camera di Commercio e Consorzio Autonomo del Porto di Genova) intitolato “Progetto preliminare del 3° valico ferroviario – Direttissima del Giovi”.

Non ci soffermiamo sull’ampia analisi della domanda di trasporto che giustificava la proposta né sulle ipotesi per il nuovo tracciato, le quali non si allontanano dal filone di studi che dal finire dell’Ottocento hanno dato vita a una ricca bibliografia [1]. Osserviamo invece che gli autori del rapporto annoverano fra i vantaggi della nuova opera la possibilità di abbandonare alcuni tratti delle ferrovie esistenti, secondo un disegno in netto contrasto con gli sviluppi che, in tempi successivi, avrebbe seguito la pianificazione dei trasporti nelle aree urbane.

In particolare, lo studio citato inserisce tra i benefici economici legati all’attuazione del Terzo Valico i risparmi derivanti dalla possibile chiusura della linea ferroviaria Genova – Ovada – Acqui Terme, con la diramazione Ovada – Alessandria, e della tratta Bolzaneto – Busalla. Già nell’introduzione si legge «la sede dell’abbandonata vecchia linea dei Giovi potrebbe venir trasformata in strada veloce, percorribile a senso unico dalle autovetture dirette alla Riviera o da questa provenienti».

Gli autori concentrano l’interesse sul traffico merci e non prevedono l’importante crescita che, nei decenni successivi, avrebbe avuto il movimento dei passeggeri di tipo pendolare fra la valle Scrivia, la val Polcevera e il capoluogo, al punto da proporre l’abbandono della stazione di Pontedecimo e da trasformare l’impianto di Busalla in una stazione capolinea di un breve collegamento con Ronco.

Lo schema che avrebbe assunto il nodo ferroviario di Genova è riportato nella figura, in cui si evidenziano in rosso i tracciati di prevista costruzione. La maggior rilevanza attribuita alle merci rispetto ai viaggiatori è testimoniata anche dal fatto che per Bolzaneto si previde un raccordo diretto col Terzo Valico, a vantaggio dei vicini raccordi industriali. Tra Ronco e Arquata Scrivia soltanto una delle due linee (via Diretta e via Isola) sarebbe rimasta in funzione.

Curioso è il destino che sarebbe spettato alla linea di Ovada. In quegli anni si parlava della costruzione di un’autostrada Voltri – Alessandria, destinata a divenire l’attuale A26. Gli autori, ritenendo inutile mantenere in esercizio la linea Genova – Acqui dopo l’apertura del Terzo Valico, propongono di riutilizzare la galleria ferroviaria del Turchino (6448 m) come galleria autostradale a singola carreggiata.

Nel complesso, considerando il ruolo importante che, nel trasporto vicinale, hanno oggi le due linee del Turchino e dei Giovi, viene da pensare che il lungo tempo intercorso fra i progetti di quell’epoca e l’effettivo avvio dei lavori non sia trascorso invano. I piani degli anni Sessanta tradiscono la convinzione, allora diffusa, che i mezzi stradali potessero in larga misura sostituire il treno nel soddisfare la domanda di trasporto viaggiatori a breve raggio.

Si pensi a quanto sarebbe oggi penalizzata la mobilità fra Genova e l’entroterra se davvero i valichi ferroviari dei Giovi e del Turchino fossero stati chiusi come suggerito dal progetto Bianchedi – Stagni – Bordone. Il quale progetto, e ciò si giustifica alla luce delle concezioni dell’epoca e dei molti anni trascorsi da allora, non centrò neppure alcune previsioni sull’andamento del traffico merci. Ad esempio, a Bolzaneto, cui lo studio attribuisce particolare importanza, oggi non è più raccordata alcuna industria e addirittura la linea merci Bolzaneto – Campi, a seguito della chiusura dei vari raccordi, da anni è stata smantellata.

 

[1] M. Marini, E. Massone, S. Pedemonte, “Alcuni progetti storici per una linea ferroviaria tra Genova e la Pianura Padana”, Rivista Ingegneria Ferroviaria, n. 7/1998.
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Marco Galaverna

Nato a Genova nel 1963, si è laureato in Ingegneria Elettronica presso l’Università degli Studi di Genova e presso il medesimo ateneo ha conseguito il Dottorato in Ingegneria Elettrotecnica. Dal 1989 fornisce supporto presso la stessa Università alle attività didattiche per diversi corsi attinenti all’Ingegneria dei Trasporti. Socio dal 1990 del Collegio Ingegneri Ferroviari Italiani (C.I.F.I.) è stato Delegato della Sezione di Genova di tale Collegio dal 1998 al 2006. È autore di oltre 100 pubblicazioni scientifiche nel campo dell’Ingegneria dei Trasporti e del libro “Tecnologie dei trasporti e territorio” insieme al Prof. Giuseppe Sciutto. Dal 1992 è docente di Elettronica e materie affini presso l’Istituto d’Istruzione Secondaria Superiore Einaudi-Casaregis-Galilei di Genova.