di Marina Salucci – Associazione Quelli del Ponte Morandi

Il rumore attraversa la pioggia e invade l’aria. Romba, si trascina, echeggia, sprigiona un fragore che scuote, poi pare che si smorzi, invece risale, rotola, rotola, riprende energia…

Ne sente la forza, le vibrazioni sulla pelle.

L’ha sorpresa mentre passava la spuma sui capelli, prima di uscire. La mano si ferma. Si chiede che cosa è stato. Le sue orecchie non hanno mai sentito niente di simile,in tutti quegli anni in cui il mondo le ha parlato. Non c’è nulla che possa paragonare a quanto ha appena udito, nulla da mettergli a fianco per trovare una somiglianza, e cavarne qualche indicazione. Nella mente le arrivano scenari di guerra, confusi, indistinti, e intanto è sempre lì, davanti allo specchio, nel gesto di rabbonire i capelli con la spuma. Qualche secondo ancora, poi riesce a scuotersi, si dirige al balcone, apre la finestra sulla pioggia d’agosto, e vede quel panorama di periferico squallore che da trent’anni le gira intorno.

C’è della polvere, della polvere che si alza, fumo che si dilata e sale. La pioggia batte, insiste, e pare mescolarsi a questa nube di fumo che alzandosi perde consistenza, ma prima di perdersi assume, le sembra,  la forma di un’esplosione atomica.   

Si spaventa. Si dice subito che potrebbe sbagliarsi. In realtà il temporale è forte, il ritmo battente è aumentato, non fuma forse la pioggia quando si abbatte con rabbia, con tutta la rabbia di cui è capace?

Sì, certo, è la pioggia che vela il paesaggio. Ma quel rumore, che cosa è stato, che cos’era quel  rumore?

Gli occhi puntano di qua e di là, inquieti. Poi si alzano, e lei sa già che cosa incontreranno. Le colline di Coronata, a ovest, le montagne di detriti che giacciono nell’incuria, e a nord il ponte, con tutti i suoi piloni di cemento armato.

Ma il ponte non lo vede. O meglio, non lo vede tutto intero. Le pare che un pezzo non ci sia più. Le sembra, ma sa anche che non è possibile.

Certo, è la pioggia, così nebbiosa. Ora aspetterà un attimo e poi lo guarderà di nuovo. E le riapparirà quella sagoma alta e incombente, che ha occupato il suo orizzonte per trent’anni. Guarda ancora, e ancora i suoi occhi le rimandano quell’immagine. Il  ponte senza un pezzo  di ponte. Un ponte crollato. Le sembra di vedere qualcosa  che pende, che penzola nel vuoto di pioggia , ma è impossibile che il ponte sia crollato. Un viadotto così mica può schiantarsi, c’è qualcuno che controlla, che vigila sulla loro incolumità. Ora aspetterà ancora e il Morandi emergerà dall’acqua battente.  Tutto intero.

Ma l’attesa si consuma e il  Morandi non emerge. Vede del cemento spezzato, e cavi che incespicano nel vuoto. Perché i suoi occhi continuano testardi a rimandarle quelle immagini?

Prende il telefono e chiama la sua vicina, la signora Angela, a cui è teneramente legata.

-Ciao Marina, le risponde con la sua voce esclamata, sempre allegra, hai visto che tempo?

Hai visto che tempo… hai visto che tempo…

Allora è chiaro, se Angela le parla del tempo, con un tono calmo, allora davvero i suoi occhi stamane non sono affidabili, e poi la nebbia umida, la bruma piovosa li confondono, producono fate morgane, ingenue illusioni.

-Sì, sì, – risponde veloce, e domanda ancora, perché vuole essere sicura, vuole sapere per certo che i suoi occhi sbagliano. – Ma… hai sentito che rumore?

-Eh sì, ho sentito, che cosa sarà stato?, e la domanda fila liscia, senza apprensione, pare null’altro che una curiosità.

Sta per rallegrarsi, ma poi le viene in mente che Angela ha sempre l’aria condizionata accesa e le finestre chiuse. I vetri doppi.

Allora si sente straziare. Si raggela. Non indugia più.

-Angela, Angela, – invoca, a me sembra di non vedere più il ponte, mi sembra che ne manchi un pezzo… E tace, e aspetta.

-Maffigurati, -esclama la sua vicina con la voce saggia, -ora vado a vedere, Marina, ma che cosa dici, Mari…

La frase si spezza. Resta sospesa nel grigio del giorno prefestivo. Le voci tacciono. Intorno cala il silenzio. Pare che tutto si sia fermato, che quell’acqua carica di presagi sia l’unica cosa capace di muoversi.

-Marina, Marina… – riesce poi a dire Angela, e davvero in lei c’è disperazione – è vero… non c’è… non c’è più… è crollato…

Ancora la pioggia. Pioggia a cui non si riesce a dare un senso. Poi Angela riprende.

-Ma che cosa sta succedendo, che cos’è, Marina, l’Apocalisse?

E con quella parola c’è la resa, la resa alla realtà. Il ponte è crollato. Gli occhi vedono bene. Mettono a fuoco cavi che penzolano e oscillano come arterie di un organismo senza vita, le immagini la bombardano, ora dalla galleria buia scavata nella collina di Coronata esce un camion, e frena all’improvviso, a pochi metri dal nulla. I fari sembrano gli occhi di un mostro infernale. Illuminano il baratro. Il vuoto.

-Sì, Angela, -dice con la voce fioca. È l’Apocalisse.

Qualche minuto dopo dal silenzio spettrale si leveranno i lamenti acuti delle sirene delle ambulanze. Lamenti che percorreranno la valle per giorni interi.

Il telefono è muto. Ormai hanno capito.

Le parole, le parole sono pietre.