INTERVISTE A CURA DELL’ASSOCIAZIONE “QUELLI DEL PONTE MORANDI”
SILVANA BRIGIDA
Silvana, quando sei arrivata in via Porro?
Ci sono nata, in via Porro, al n. 11. Mio padre era aiuto macchinista e, come dipendente delle Ferrovie dello Stato, aveva diritto a un’abitazione per la sua famiglia. Il palazzo era stato ultimato nel 1949 e la mia famiglia si era trasferita subito dopo. Come tutte le case di via Porro, ogni ferroviere aveva in busta paga una trattenuta per l’affitto. Solo sul finire degli anni ’50, con un piccolo aumento nelle trattenute dello stipendio mensile, le Ferrovie offrirono di riscattare l’alloggio e di diventare proprietari dell’appartamento.
I tuoi primi ricordi di via Porro?
Le amicizie, non solo con quelli della scala dove abitavo. Da bambina giocavo nel cortile insieme agli altri bambini della zona. Quando era ora di pranzo o cena, ai nostri genitori bastava affacciarsi per sapere dove eravamo e chiamarci. In via Porro ci si conosceva tutti.
Col passare del tempo via Porro si è trasformata; cosa ti ha spinto a tornare?
Sono andata via nel 1977, mi sono sposata, ma non mi sono allontanata molto dal quartiere: ho vissuto tra Rivarolo e Certosa. Ho passato periodi belli e brutti. Allora non comprendevo l’importanza di certe situazioni e avrei voluto che le cose fossero andate diversamente. Nel 2000, dopo la morte di mio padre, sono tornata in via Porro. Credevo fosse la mia ultima destinazione e, invece, all’improvviso tutto è cambiato. Ho dovuto cercare altrove la mia serenità. Ora spero di avere un po’ di pace e potermi stabilire in un posto più sicuro.
Non si può tornare indietro nel tempo ma, se fosse possibile, quale periodo sceglieresti?
Mi piacerebbe rivivere il periodo di quando andavo a scuola e passavo il mio tempo insieme alle mie amiche e ai miei compagni di gioco. Il muretto del cortile è stato sempre un punto di ritrovo, anche da adolescenti. Mi ricordo che mi avevano regalato una chitarra e suonavo i brani di successo dell’epoca: “La canzone del sole” di Battisti, “La canzone di Marinella” di De André, ”La casa del sole” dei Bisonti e altre. Era un momento di serenità e felicità.
- 1949 Casa dei Ferrovieri – Via Porro n. 11
- Due vicine: Silvana e Gabriella
- 1971 Suonando la chitarra sul muretto di Via Porro 11
GRAZIELLA CROSA
Graziella, quando sei arrivata in via Porro?
Sono nata in via Porro al n. 11 nel 1956. I miei genitori abitavano in Via Porro dal 1949, quando gli era stato assegnato un appartamento nel condominio appena terminato. Mio padre lavorava come Applicato Capo IE (Impianti Elettrici) negli uffici della stazione di Genova Piazza Principe. Era di origini alessandrine, mentre mia madre era veneta di San Donà del Piave. Durante la guerra erano entrambi sfollati; si sono conosciuti nel borgo di Retorto (Predosa – AL), dove lavoravano in una tenuta agricola.
I tuoi primi ricordi di via Porro.
Ero piccola e giocavo nel cortile insieme con gli altri bambini. Le bambine prediligevano giocare a far da mangiare e i bambini, invece, giocavano con le biglie colorate. Insieme giocavamo a pampano e a 1-2-3 stella. Mi ricordo che andavo a prendere il latte della Centrale nella latteria in fondo a via Porro. Era venduto in bottiglie di vetro con il tappo in stagnola e si creava un tappo di “panna” in cima, molto buono. Dentro casa c’era ancora la cucina a carbone, testimonianza di un tempo che ora non esiste più. In via Porro passava un pescivendolo con il carretto e gridava “anciôa”, poi c’era il postino che noi bambini seguivamo per recuperare ciascuno la nostra posta. A fine agosto si celebrava la festa del Santo nella parrocchia di San Bartolomeo della Certosa e noi bambini partecipavamo ai preparativi con le bandierine. Le suore Dorotee avevano un piccolo teatro e lì facevamo spettacoli in occasione delle feste religiose. All’epoca la scuola e la parrocchia erano centri di aggregazione per noi abitanti di via Porro.
Col passare del tempo via Porro si è trasformata; cosa ti ha spinto a rimanere o, nel tuo caso, a tornare?
Si cresce, ci si sposa, si crea una nuova famiglia e anche se sono andata via da via Porro, per me è sempre rientrare a casa. I miei genitori sono rimasti lì e, dopo che sono mancati, sono tornata a vivere in via Porro, perché era un territorio che conoscevo e mi era familiare. Anche se, nel frattempo, erano arrivate nuove famiglie trovavi sempre qualcuno che conoscevi. Sono andata di nuovo ad abitare in via Porro con la mia famiglia nella casa dove sono nata e dove avrei voluto morire. Quell’appartamento l’ho rinnovato e abbellito e poi, in un giorno di pioggia estiva, si è stravolto tutto. Purtroppo, dopo il crollo del ponte Morandi ho dovuto lasciare la mia casa, ora abito in un altro quartiere, dove si fa fatica a conoscersi.
Non si può tornare indietro nel tempo ma, se potessi farlo, quale periodo sceglieresti?
Fine anni ’60 inizio ’70, quando ero adolescente e insieme alle amiche e amici eravamo i “ragazzi del muretto”. Non che non ci fossero problemi, visto che negli anni ’70 circolava la droga che tanti danni ha fatto, non solo a Certosa. Ma è altrettanto vero che pochi hanno vissuto la via come noi l’abbiamo vissuta in quegli anni: la gioia di stare insieme, di condividere la musica, di avere punti di incontro comuni, come la parrocchia e la scuola. Ci bastava poco: se non si poteva comprare un rossetto, il ghiacciolo alla fragola era sufficiente. Ci incontravamo a Certosa, al Mercato e nei negozi come il droghiere Pippi, la Vittorina, la Gestri e al cinema Colombo, al Ligure ma anche al cinema del Dopolavoro Ferroviario. Erano gli anni in cui iniziavo a fare piccoli lavori per rendermi indipendente dai miei genitori, che già facevano tanti sacrifici. Con i soldi guadagnati potevo acquistare piccole cose, non sentivo il bisogno di avere quello che non potevo permettermi. La casa di via Porro ci dava serenità e gioia di stare insieme.
GIANCARLA LAZZARI
Giancarla quando sei arrivata in via Porro?
Alla fine del 1959, quando avevo appena sei mesi. Mio papà era stato appena assunto in ferrovia e gli era stato assegnato un alloggio in via Porro al 10. Lavorava in stazione a Sampierdarena dove, insieme ad altri colleghi, si occupava della manutenzione degli scambi. Un lavoro duro, soprattutto in inverno, quando c’era pericolo che ghiacciassero. Qualche volta lavorava lungo la linea che corre parallela a via Porro.
Quali sono i tuoi primi ricordi di via Porro?
Ho sempre considerato la mia casa come la mia seconda pelle. Nei 59 anni passati in via Porro si è formata la mia vita. I miei ricordi tornano al giorno del mio matrimonio e, poi, al 12 marzo 1984, quando è nata mia figlia Stefania. Qualche giorno dopo la sua nascita, mio marito Franco è venuto a prendermi in ospedale per portarci a casa e lì siamo state accolte in strada dalle vicine, le signore Liconte, Gaggero, Marenco e Ricci. Un momento di felicità condivisa che non posso dimenticare. Questa era via Porro.
Col passare del tempo via Porro si è trasformata; cosa ti ha spinto a rimanere?
Via Porro 10/5 per me è “la casa”. Non me sono mai andata, né ho cercato altri luoghi. Fuori non vedevo cemento, ma sentivo il calore di un luogo, dove ogni spazio contiene un ricordo, una parte di me.
Non si può tornare indietro nel tempo ma, se si potesse, quale periodo sceglieresti?
14 agosto 2018, ore 11.30.
Vorrei poter fermare il tempo per non vivere quello che poi è accaduto. Sono consapevole che noi abitanti di via Porro siamo dei sopravvissuti e che potevamo diventare, in un lampo, un numero in più nel conteggio delle vittime.
- Memoria di Via Porro 11/7a – Foto di Graziella
- Memoria del civico 5 di via Porro n.10 – Foto di Giancarla