di Marco Galaverna

Sul marciapiede del primo binario, nella stazione di Genova Pontedecimo, è stata eretta una piccola edicola, che si può vedere nella mia foto, per ringraziare la Madonna della Guardia, storica protettrice della città, in relazione all’esito di un brutto incidente ferroviario che avrebbe potuto causare una strage e invece non provocò alcuna vittima.

Ricordiamo l’accaduto: il 28 novembre 1997 un treno merci, partito da Alessandria al traino di una locomotiva E.636, entrò nella stazione di Pontedecimo a una velocità prossima ai 140 km/h (in quel tratto di linea il limite è 75 km/h); molti carri deragliarono e finirono nel piazzale mentre la testa del treno rimase sui binari e terminò la corsa poco oltre. Lungo la discesa da Busalla verso Genova, il personale di macchina non era riuscito a controllare la marcia poiché il freno pneumatico pareva non funzionare; il treno non disponeva di frenatura elettrica e, per gravità, il convoglio aveva raggiunto la sopra detta pericolosa velocità.

Nello schianto, alcuni rottami colpirono persone che si trovavano nell’area; vi furono sei feriti e nessuna vittima. Ciò appare davvero miracoloso: i marciapiedi della stazione e il parcheggio, adiacente al fabbricato viaggiatori, potevano essere affollati di viaggiatori e i carri, dal rilevato che sostiene la ferrovia, sarebbero potuti cadere nella sottostante via Anfossi, trafficata di auto e pedoni.

Dalle verifiche tecniche risultò che la condotta del freno era efficiente soltanto nei primi tre carri: quindi, la maggior parte del convoglio, composto da una ventina di veicoli, era priva di frenatura. Ritenuto inverosimile che la condotta pneumatica potesse essersi guastata in marcia, le indagini, una interna alle Ferrovie e una della magistratura, conclusero che il difetto di frenatura doveva sussistere già all’origine, cioè al momento della composizione del treno, e sarebbe venuto alla luce prima della partenza se le prove del freno fossero state eseguite in modo corretto e completo. In definitiva, furono considerati responsabili del disastro colposo il personale di macchina e i verificatori di Alessandria, per il mancato rispetto di norme d’esercizio (si veda il Capitolo III dell’Istruzione [1]).

Allargando il discorso, da molti decenni, ovvero da quando si è diffuso il freno continuo ad aria compressa, gli incidenti causati in senso stretto da insufficienza di frenatura sono stati rarissimi: il freno ferroviario è insomma molto sicuro e il suo intervento automatico lo rende anzi fail-safe, cioè a sicurezza intrinseca.

Del resto, la sua evoluzione tecnica è stata importante. George Westinghouse realizzò già nel 1872 il primo freno automatico ad aria compressa, basato su una valvola tripla il cui principio di funzionamento è simile a quello ancora in uso. Ma i perfezionamenti si susseguirono per un lungo arco di tempo, parallelamente all’aumento della composizione e della velocità dei treni.

In Europa si protrasse per anni il dibattito sull’unificazione dei dispositivi, tra i fautori di un freno unico internazionale e tra coloro che auspicavano linee guida a cui vari tipi di freno avrebbero dovuto conformarsi. Prevalse la seconda posizione e la UIC (Union Internationale des Chemins de fer) emanò nel 1952 delle norme, le Fiche numerate da 540 a 549, che non vincolano le imprese ferroviarie a un tipo specifico di apparecchiatura frenante, ma ne fissano caratteristiche e prestazioni, in modo da rendere possibile lo scambio di veicoli e garantire la compatibilità tra i sistemi. In Italia, ad esempio, si diffusero le apparecchiature Westinghouse tipo U e quelle Breda.

Alla frenatura elettrica, che consiste nel far funzionare da generatori i motori di trazione, viene talora attribuita un’importanza superiore alla reale efficacia. Peraltro, anch’essa è basata sull’aderenza ruota/rotaia, quindi non evita il rischio che le ruote si blocchino e il conseguente pattinamento.

Indispensabile nell’esercizio sopra i 160 km/h, nel campo delle velocità ordinarie la frenatura elettrica è vantaggiosa in termini di riduzione dell’usura dei ceppi o dei dischi, ma da sola non è normalmente in grado di arrestare un treno e, in particolare, con ogni probabilità non avrebbe impedito l’incidente che qui abbiamo voluto ricordare.

 

[1] Istruzione sull’esercizio del freno continuo automatico per i convogli di RFI

 
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Marco Galaverna

Nato a Genova nel 1963, si è laureato in Ingegneria Elettronica presso l’Università degli Studi di Genova e presso il medesimo ateneo ha conseguito il Dottorato in Ingegneria Elettrotecnica. Dal 1989 fornisce supporto presso la stessa Università alle attività didattiche per diversi corsi attinenti all’Ingegneria dei Trasporti. Socio dal 1990 del Collegio Ingegneri Ferroviari Italiani (C.I.F.I.) è stato Delegato della Sezione di Genova di tale Collegio dal 1998 al 2006. È autore di oltre 100 pubblicazioni scientifiche nel campo dell’Ingegneria dei Trasporti e del libro “Tecnologie dei trasporti e territorio” insieme al Prof. Giuseppe Sciutto. Dal 1992 è docente di Elettronica e materie affini presso l’Istituto d’Istruzione Secondaria Superiore Einaudi-Casaregis-Galilei di Genova.