di Marco Galaverna

L’evoluzione del trasporto ferroviario negli ultimi trent’anni ha avuto, fra i tanti effetti, la riduzione del servizio di manovra, che rappresentava un elemento caratteristico nel mondo dei treni fino dall’Ottocento.

Il processo è derivato da fattori distinti nel comparto viaggiatori e in quello delle merci, per quanto sia ravvisabile un’origine comune nella politica dei trasporti intrapresa dal nostro Paese, e in realtà da tutta l’Unione Europea, a cavallo degli anni Duemila; e ha prodotto un comune risultato, la graduale scomparsa dei movimenti di manovra in un gran numero di scali e stazioni.

Nel comparto viaggiatori, si è generalizzata la tendenza all’impiego di composizioni fisse di locomotive e carrozze. È opportuna una precisazione: nel linguaggio tecnico ferroviario, si parla di composizioni bloccate per treni formati da più elementi che possono essere separati soltanto in officina: ad esempio, i Pendolini, i più moderni Jazz, Swing, Rock e Pop, e il Settebello di una volta.

Tutti gli altri treni viaggiatori, che precisamente sono detti di materiale ordinario, sono formati da carrozze che possono essere agganciate e sganciate in qualunque stazione, purché sia presente il personale abilitato. Ma, per comodità, da qualche decennio si tende a svolgere il servizio viaggiatori con composizioni fisse, che per tutto il turno d’impiego mantengono le stesse carrozze anche percorrendo linee diverse, con treni di numero differente nei vari giorni della settimana. Il ricorso, sempre più diffuso, ai convogli reversibili ha accentuato la tendenza.

Qui è da ricordare pure la scomparsa, quasi totale in ambito Fs, del servizio a “carrozza diretta”, che ha dato ulteriore contributo alla riduzione delle manovre in stazione, argomento abbastanza complesso da richiedere una futura pagina a sé della nostra rubrica.

Nel comparto merci, l’abbandono del servizio in piccole partite e a carro singolo ha comportato la scomparsa dei treni merci raccoglitori e la chiusura della maggioranza degli scali piccoli e medi. La concentrazione del servizio ai treni completi, con un’unica origine e un’unica destinazione, ha reso superflue le stazioni di smistamento e le relative manovre. Nella stessa direzione hanno agito la chiusura di molti raccordi industriali e la comparsa di locomotive bimodali, a trazione elettrica per il servizio di linea ma dotate di un motore Diesel ausiliario che le rende autonome nei movimenti di manovra sui binari non elettrificati degli scali, laddove fino a poco tempo fa sarebbe stato necessario un mezzo apposito.

Ci porterebbe lontano valutare qui gli effetti di tale politica sul sistema globale dei trasporti. Restando nel nostro tema, va rimarcato che tutti i fenomeni fin qui citati hanno agito nella stessa direzione. Anche in passato non tutti gli scali avevano la presenza stabile di una locomotiva o di un automotore da manovra, perché sovente a svolgere le manovre era la stessa locomotiva titolare dei treni merci, ma certamente oggi la flotta dei mezzi da manovra in Italia si è assottigliata parecchio ed è rarissimo che unità nuove vengano immesse in servizio.

Di contro, per testimoniare l’importanza che rivestiva tale settore per l’azienda ferroviaria un secolo fa, ci piace ricordare che il primo Gruppo di mezzi specificamente concepito per il servizio di manovra fu rappresentato dalle famose locomotive a vapore 835, costruite in ben 370 unità per oltre un quindicennio dal 1906, quindi subito dopo la costituzione delle Ferrovie dello Stato. La bontà del progetto di quelle macchine è provata dalla loro longevità: lo scrivente le ricorda ancora funzionanti nella seconda metà degli anni Settanta in varie stazioni della Penisola. Le dimensioni e il rodiggio delle 835 furono così indovinati che il loro telaio fu riutilizzato per la costruzione di mezzi da manovra Diesel (Gruppo 234) ed elettrici (Gruppo E.321/322). Nel 1983 ne risultavano ancora 15 immatricolate nel parco, di cui cinque accantonate fuori uso.

A quel periodo ci riporta la fotografia di Angelo Malaspina, che ritrae una 835 nel deposito di Novi San Bovo, nel 1974.

 

RINGRAZIAMENTI

Ringrazio Angelo Malaspina, autore della bella fotografia messa gentilmente a disposizione per il presente articolo.