di Marco Galaverna

Appena tre mesi or sono, dedicavamo la nostra rubrica al centocinquantesimo compleanno del traforo del Fréjus e ora abbiamo l’occasione di ricordare un altro traforo alpino centenario, il secondo del Sempione.

Decisa, a fine Ottocento, la realizzazione di un nuovo collegamento ferroviario fra Italia e Francia attraverso le Alpi, fu individuato, con varie opzioni, un tracciato lungo le valli Divedro (laterale dell’Ossola) e del Rodano. Prevalse la scelta col profilo più favorevole, che comportò lo scavo di una galleria lunghissima, all’epoca la più lunga al mondo, fra Iselle (Italia) e Brig (Svizzera), sotto il gruppo montuoso del Breithorn, che tocca nel ghiacciaio di M. Leone la quota massima di 3552 metri. Iselle fu collegata a Domodossola, già raggiunta dalle linee per Milano via Arona e per Novara. Brig era origine della linea per Ginevra, che con l’apertura del traforo si trovò sulla direttrice Milano – Parigi, e di quella per Berna, Basilea e la Germania.

I lavori di scavo iniziarono nel 1898 e furono condotti in parte a mano (piccone, volata di mina e smarino) e in parte con la perforatrice idraulica Brandt. Congiuntamente alla galleria principale, prevista a binario unico, fu condotto lo scavo di un cunicolo di servizio, parallelo e distante dalla prima meno di una ventina di metri, utile per la ventilazione, il drenaggio delle acque e il trasporto dei materiali.

Nel 1906 la prima galleria del Sempione, lunga 19802 m, fu aperta all’esercizio, provvisoriamente con trazione a vapore, e vengono i brividi a pensare a un treno a vapore dentro un traforo a binario unico di 19 km, senza alcuno sfogo per i fumi né sistemi d’aerazione, e poche settimane dopo a trazione elettrica trifase.

Due anni dopo, le Ferrovie Svizzere decisero di trasformare il cunicolo di servizio in una galleria attrezzata come la prima, per raddoppiare il binario lungo una direttrice che in breve tempo era divenuta importante. I lavori, avviati nel 1912 e rallentati della Grande Guerra, terminarono soltanto nel settembre 1921, circostanza che ci offre oggi lo spunto per rammentare il centenario, e l’inaugurazione ebbe luogo nel ’22.

Le due gallerie sono collegate da 43 cunicoli trasversali e, al centro, da una doppia comunicazione fra i binari pari e dispari, coincidente, come dicono gli Svizzeri cui spetta l’esercizio della linea, con una “stazione”, che per i nostri regolamenti definiremmo un Posto di Comunicazione, impianto un tempo presenziato e oggi telecomandato da Brig. Non possedendo mie foto delle gallerie del Sempione, peraltro reperibili su Internet e varie pubblicazioni [1], ho pensato di abbinare a queste note l’immagine della copertina di un libro che nel titolo curiosamente riunisce entrambi i trafori alpini qui citati, “Il Sempione strizza l’occhio al Fréjus”, romanzo pubblicato da Elio Vittorini nel 1947 [2].

Lo scrittore siciliano Elio Vittorini (1908 – 1966), figlio di ferroviere, non ha bisogno di presentazione. Merita qualche parola il libro, che non è tra le opere più lette e citate dell’autore. I primi romanzi e l’ambiente culturale in cui, attorno all’editore Einaudi, si è svolta la sua attività hanno contribuito ad associare la figura di Vittorini alla corrente letteraria del neorealismo. Ma, sviluppando tendenze già presenti nel precedente Uomini e no (1945), l’autore approda a una narrativa in cui su uno sfondo realistico si innesta una vicenda raccontata con toni fra la prosa lirica e il mito. Il Sempione strizza l’occhio al Fréjus ha una trama esile, narrata dal figlio disoccupato di una famiglia operaia, che vive in povertà alla periferia di Milano, dominata dalla figura del nonno, paragonato per dimensioni e appetito a un elefante. La vita passata del nonno è avvolta in un alone fiabesco: di lui si dice che abbia lavorato ai trafori alpini, strade, ponti, a opere d’ogni genere, forse al Duomo. Un operaio che lavora sulla strada di fronte è invitato in casa per pranzo e racconta che gli elefanti, sentendo prossima la propria fine, vanno a morire in un luogo misterioso. Qualche giorno dopo, il nonno, da tutti considerato un elefante e che non si muove quasi più da tempo immemorabile, esce di casa, s’inoltra nel Parco Sempione e scompare per sempre.

 

[1] G. Bonzani, “I cento anni del Sempione”, Rivista La Tecnica Professionale, n. 7/8, CIFI, 2006

[2] E. Vittorini, “Il Sempione strizza l’occhio al Fréjus”, Bompiani 1947 (più volte riedito).